19 Agosto 2023

LO SGUARDO DI FRANCESCO DE MARCHI

L’attualità nella visione della montagna e della natura di un architetto militare del ‘500

Lo sguardo di un giovane uomo di 37 anni si posa per la prima volta su quell’anomalia geografica che è il Corno Grande. Anomalia perché la vetta del “Corno Monte”, montagna pur così lontana dalle asperità delle Alpi, ne condensa le altezze, le difficoltà, i dislivelli e – per quell’epoca – soprattutto l’isolamento, la lontananza dai primi avamposti di civiltà.

La prima visita di Francesco De Marchi in Abruzzo risale al 1541. La sua vita è conosciuta, i suoi scritti, i suoi pensieri, le sue azioni, sono stati ampiamente approfonditi in molti convegni, il più importante dei quali – probabilmente – fu curato dallo storico Alessandro Clementi ed ebbe luogo a L’Aquila nel maggio del 2005. Un valente film maker, Luca Cococcetta, sta realizzando per “Visioni Future”, con il patrocinio e contributo del CAI, un docufilm su questo eclettico personaggio. La figura di De Marchi, riguardo al suo sogno e alla sua realizzazione, si staglia nel panorama dell’alpinismo come una meteora di mezza estate.

FRANCESCO DE MARCHI, PRIMO ALPINISTA

Il Corno Grande, salendo a Monte Aquila



Quel primo sguardo era certamente ancora influenzato dai retaggi di un immaginario tipico dell’uomo medioevale, che vedeva la natura selvaggia come realtà ostile, da rifuggire o da domare.

Fino alla fine del Rinascimento e all’inizio dell’Illuminismo, si credevano gli alti monti abitati da spiriti, anime dei morti e draghi che vivevano – entità minacciose – tra le rocce e i ghiacci.

Per incontrare il nascere di un interesse vero e proprio per le Alpi e l’alpinismo, spogliato dalle paure primordiali, dobbiamo giungere fino al 1700, il Secolo dei Lumi, con la salita al Monte Bianco da parte del montanaro cercatore di cristalli Jacques Balmat, insieme al medico Michel Paccard, ispirati da Horace Bénédicte de Saussure. Il 7 agosto 1786 partirono da Chamonix per tentare la salita. Dopo un bivacco, e dopo un’estenuante fatica, raggiunsero la vetta. L’impresa dei due fu assolutamente straordinaria se si pensa che non avevano né corda, né piccozza, né ramponi, né l’abbigliamento necessario.

Appare chiaro, a maggior ragione, lo spessore dell’atteggiamento di De Marchi, volitivo e risoluto, ben 213 anni prima della salita al Bianco. Nel 1573, trentadue anni dopo quel suo primo sguardo, con metà della sua vita passata nell’intimo desiderio di tentare la salita del Corno, Francesco De Marchi ha ormai 69 anni. Vegliardo e gagliardo, non è certo un ragazzo, ma il suo desiderio è ancora vivo.

Il 19 agosto del 1573 scala la cima più alta dell’Appennino, accompagnato da cacciatori di camosci di Assergi. Il giorno successivo, evidentemente non pago, scende al fondo della Grotta a Male, fino al lago “De Marchi”. Sappiamo, di queste due imprese, ogni passo, ogni respiro, ogni dubbio o preoccupazione, grazie a un resoconto dettagliato che – per nostra fortuna – è arrivato fino a noi. Perfettamente in linea con quella “visione”, rispettosa ma determinata, il Club Alpino Italiano ha, per vocazione e per fini statutari, non l’accompagnamento o la “gita” sociale, ma la tutela della natura alpina e la formazione. I continui corsi di escursionismo, di cicloescursionismo, di alpinismo, di scialpinismo, di speleologia, rivolti ai Soci – insieme all’azione delle Guide Alpine e del Soccorso Alpino e Speleologico (si tratta anche in questi casi di Sezioni speciali del CAI) –, tendono a portare coloro che intendono avvicinare l’alpinismo, la speleologia e tutte le altre discipline legate alla montagna e all’ambiente impervio a un livello evoluto di competenza, coscienza e relativa sicurezza, alla massima autonomia nella pianificazione e nelle decisioni da prendere sul terreno.

FRANCESCO DE MARCHI, PRIMO SPELEOLOGO

Rilievo della Grotta di Stiffe. A destra: Grotta a Male, il lago “De Marchi” (foto uPIX, fotografia ipogea)

Il 20 agosto 1573, giorno successivo alla sua scalata del Corno Grande, De Marchi esplora Grotta a Male, nella valle del Vasto, presso Assergi.

Anche in questo caso il suo racconto è vivido, pieno di stupore. La discesa è un viaggio nell’ignoto, le motivazioni scientifiche dichiarate sono, ancora una volta, palesemente un pretesto (come per il Corno Grande), per il pudore nell’ammettere la totale mancanza di fini immediati e di utilità.

Gruppo Grotte e Forre “Francesco De Marchi”, questo è il nome del Gruppo speleologico in seno alla Sezione CAI dell’Aquila, riferimento per nulla casuale a uno dei più grandi personaggi della sua epoca, in termini di voglia di conoscenza e spirito di intraprendenza. Forse ai più sconosciuto, ma non di certo a chi, di esplorazioni, si occupa. 

Sì, perché se è vero che fatti non fummo a viver come bruti, gli speleologi fanno di questa minuscola ma possente citazione una ragione del loro esistere, un refrain che li accompagna negli abissi bui, fangosi, freddi, stretti, e i cento altri aggettivi che, per quanto possano suonare negativi, sono invece stimolanti per gli speleologi. 

È per il dantesco verso che il 20 agosto 2023, a 450 anni esatti dalla prima discesa (nonché prima esplorazione) di Grotta a Male da parte di De Marchi, il Gruppo Grotte e Forre “Francesco De Marchi”, insieme agli altri due gruppi speleologici aquilani e in collaborazione con molte altre associazioni, inclusa la Federazione Speleologica Abruzzese e la Federazione Speleosubacquea Francese, riprenderanno le esplorazioni dei tratti post-sifone delle Grotte di Stiffe. 

Esplorazione, non frequentazione. Questo perché, nonostante ci sia possibile vedere tramite satellite qualsiasi parte del nostro pianeta, gli ambienti sotterranei resterebbero geograficamente sconosciuti, se non ci fossero gli speleologi a descriverli.

Le Grotte di Stiffe, attualmente le più estese d’Abruzzo, presentano (dopo la parte turistica) altri chilometri di estensione; superate cascate e tratti allagati, con un’atmosfera con basso tenore di ossigeno e alto di CO2, dopo il terzo sifone nessuno è mai andato. Esiste quindi (come ne esistono probabilmente altri milioni) un pezzo di mondo che non conosciamo, e che, fiduciosamente, verrà portato alla luce. Alla luce sì, ma delle lampade frontali, e per un brevissimo periodo di tempo: le grotte, così come gli altri sistemi naturali, soffrono della presenza umana. Dunque, se la grotta lo concederà, ci sarà il tempo di scattare qualche foto e soprattutto di effettuare un rilievo, per descrivere i nuovi ambienti trovati. Un privilegio per pochi, dato che, un po’ come De Marchi per Grotta a Male, chi metterà per primo il piede nei nuovi rami, sarà colui che, in milioni di anni, avrà varcato quella soglia sconosciuta fino ad allora. 

La stessa emozione che i membri del Gruppo Grotte e Forre hanno avuto quando, nei primi anni 2000, hanno esplorato il mai descritto “Ramo del morto”, proprio nella Grotta a Male di De Marchi, grotta il cui rilievo più aggiornato (ed in fase di rifacimento in onore del 450° anniversario, con le più avanzate tecnologie) è proprio del Gruppo. 

Tutta questa meraviglia, emozione e voglia di conoscenza, viene raccontata durante le uscite sezionali CAI. Questi eventi divulgativi indirizzano anch’essi a una frequentazione consapevole degli ambienti ipogei, descrivono le loro fragilità e bellezze, e si tengono ben lontani dalle effimere celebrazioni e delle vane “esperienze“, ormai così di moda. 

L’omaggio degli speleologi aquilani a De Marchi risiede proprio nell’onere e onore di portarne il nome, carico di buoni auspici e foriero di esplorazioni di successo, a costante memoria del fatto che anche il mondo della Speleologia da sempre lavora, e sta lavorando, per seguir virtute e canoscenza.

LO SGUARDO DI DE MARCHI

Cosa resta dello spirito di quest’uomo? Cosa vive ancora della sua visione piena di meraviglia di quel mondo lontano 450 anni, cosa rimane di quello sguardo rapito, tipico degli spiriti illuminati e visionari del Rinascimento?

Considerando a parte il mondo della speleologia, selettivo per sua natura, oggi folle di “appassionati” salgono sulle cime delle Alpi, dell’Appennino e anche dell’Himalaya, privi spesso di esperienza e necessaria conoscenza delle insidie di un ambiente che si crede “addomesticato”, alla portata di chiunque. Incontrare persone sprovvedute e sprovviste di attrezzatura e consapevolezza, è diventata la norma. Chi sale alle cime del nostro Gran Sasso sovente lo fa in modo estremamente disinvolto, partendo tardissimo, rischiando davvero troppo e mettendo a rischio (questo sì consapevolmente?) il personale del Soccorso Alpino.

Nel 1968 l’alpinista Reinhold Messner scrisse un articolo infuocato, dal titolo “L’assassinio dell’impossibile”, in forte polemica con l’uso eccessivo di mezzi artificiali per la progressione in parete, che lui considerava la morte dell’avventura: «Il Drago è avvelenato… Deve succedere qualcosa prima che l’impossibile sia sepolto… Perciò salvate il Drago!». Il “Drago” era, appunto, l’impossibile.

Anche se sempre più difficile da decifrare e da raccontare, la storia dello spirito di avventura dell’uomo continua. Condividere l’avventura e insegnare il senso del limite possono aiutarci a costruire una visione, a concretizzare un’idea, soprattutto nei più giovani.

Incontrare in montagna persone consapevoli fa bene, rincuora, consola per le energie spese e ci ricorda che nessuna celebrazione ha il valore di un percorso formativo, nessun convegno serve, se non si desidera che lo sguardo del De Marchi diventi lo sguardo di tutti i frequentatori delle nostre montagne: cercare se stessi nell’ignoto, trovare la propria via nella difficoltà, imparare a conoscere e accettare il nostro limite, riscoprire con gli occhi di un moderno Ulisse quanto di nascosto e incantevole ci circonda e sfida la nostra capacità di sognare.

Vincenzo Brancadoro (presidente CAI L’Aquila) – Mattia Iannella (Gruppo Grotte e Forre “Francesco De Marchi” CAI L’Aquila)


Aggiornato il 19 Agosto 2023